INDICE DI LIQUIDITÀ: COME SI CALCOLA E SI INTERPRETA
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Quando ci si domanda se un’impresa è dotata di liquidità non bisogna semplicemente pensare a quanti mezzi liquidi ha in cassa o in banca.
La liquidità dell’azienda è una condizione più complessa, che riguarda l’equilibrio della sua situazione finanziaria.
Un’azienda si trova in una situazione finanziaria equilibrata quando è in grado di fronteggiare tempestivamente le uscite di cassa (derivanti a vario titolo dalla gestione) con i mezzi liquidi già disponibili e con le entrate future provenienti dai ricavi di vendita e da altre fonti.
In tale caso si conclude che l’azienda è dotata di liquidità o, con altro termine, di solvibilità.
Indice dei contenuti:
Come si valuta la liquidità di un’azienda
Per giudicare correttamente la liquidità di un’azienda, è necessario:
- fare riferimento ad un arco di tempo futuro: constatare che i mesi scorsi l’azienda non ha avuto problemi di liquidità è una bella cosa, ma il giudizio di liquidità va proiettato nei mesi a venire;
- considerare un lasso di tempo breve, cioè un periodo annuale o inferiore all’anno: la liquidità di lungo periodo è ovviamente importante, ma prima bisogna accertare se si è in grado di fronteggiare le esigenze immediate o prossime di cassa;
- tener presente che il giudizio di liquidità viene espresso in un dato momento, ma potrebbe cambiare a distanza di poco tempo, magari trasformandosi in un’insolvenza.
La situazione di liquidità è un qualcosa di diverso dalla situazione economica (equilibrio tra ricavi e costi) e patrimoniale (equilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi), anche se strettamente collegata a queste.
Oltre ad essere una costante preoccupazione di chi gestisce un’azienda e dei suoi creditori, se squilibrata è all’origine di ciò che a livello normativo viene disciplinato sotto l’etichetta di “crisi d’impresa” e di “insolvenza” (nel 2022 è entrato in vigore il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza).
Per valutarla, il modo più semplice consiste nell’utilizzare i dati del bilancio d’esercizio, ed in particolare dello stato patrimoniale, dopo una opportuna riclassificazione.
Dallo stato patrimoniale riclassificato si ricavano i valori necessari per calcolare l’indice per eccellenza di situazione finanziaria, che è, per l’appunto, l’indice di liquidità.
ALTRE DENOMINAZIONI DELL’INDICE:
- liquidità primaria;
- quick ratio;
- acid test.
In ogni caso si tratta di un quoziente di bilancio, con il quale si mettono a confronto (numeratore e denominatore) valori in qualche modo espressivi di entrate e di uscite future.
Come si calcola
Per il calcolo si usa la formula:
Al numeratore compare la somma delle liquidità immediate, più le liquidità differite da riscuotere entro l’esercizio successivo a quello del bilancio. Tali valori sono evidenziati nell’attivo dello stato patrimoniale.
Al denominatore si trovano le passività correnti, ovvero i debiti da estinguere nel breve termine, cioè entro l’anno successivo alla data del bilancio, come da passivo dello stato patrimoniale.
Esempio di calcolo
Supponiamo che lo stato patrimoniale al 31/12 di un certo anno, sulla scorta del quale s’intende esprimere un giudizio di liquidità, sia il seguente:
L’indice di liquidità è dunque pari a: (400.000 + 3.000.000)/2.800.000 = 1,21.
Tale numero, come vedremo subito, sta ad indicare una situazione di liquidità positiva, perché il valore al numeratore è superiore a quello del denominatore.
Come si interpreta e quali sono i suoi limiti
L’indice di liquidità va inteso come una misura parziale del rapporto tra:
- le entrate di cassa future, relative ad un arco di tempo breve, più la liquidità già esistente alla data di bilancio;
- le uscite di cassa previste per il medesimo periodo.
Delle entrate di cui sopra, l’indice considera quelle derivanti dall’incasso dei crediti del numeratore, mentre delle uscite l’indice considera quelle conseguenti al pagamento dei debiti riportati al denominatore.
Quindi, almeno in prima battuta, se la liquidità già disponibile più quella ottenibile con l’incasso dei crediti in giacenza riesce a coprire le uscite collegabili ai debiti in essere a fine anno, significa che la situazione di liquidità è equilibrata (indice ≥ 1).
In tale situazione si trova l’azienda dell’esempio precedente, che ha un indice di 1,21. In caso contrario (indice < 1) la situazione di liquidità appare sfavorevole.
Tuttavia, l’indice in oggetto, così come ogni altro indice di bilancio, va correttamente interpretato, evitando conclusioni sbrigative dettate dalla lettura meccanicistica dei numeri.
Una corretta interpretazione richiede alcune considerazioni e cautele:
- è un sintomo solo parziale della situazione di liquidità dell’azienda. Questo perché le entrate e le uscite del prossimo esercizio corrispondono non solo ai valori già in essere, cristallizzati alla data di bilancio, ma anche ad altri incassi e pagamenti (per vendite non ancora avvenute, acquisti futuri, investimenti, ecc.), la cui proporzione potrebbe essere ben diversa da quella fotografata dallo stato patrimoniale. Ciò può avvenire per tante cause, di pagamenti per ingenti investimenti, per crisi improvvisa, ecc. In altre parole, l’indice riflette solo limitatamente quanto può essere messo in luce dall’unico vero strumento di valutazione della liquidità aziendale, vale a dire il budget finanziario. Quest’ultimo si sforza di prevedere tutte le entrate e le uscite del prossimo esercizio, perché impone una riflessione a 360 gradi sul futuro della gestione aziendale;
- occorre verificare l’effettiva liquidabilità dei valori al numeratore e al denominatore del quoziente, ed in particolare dei crediti commerciali. Questi ultimi potrebbero essere elevati a seguito di condizioni sfavorevoli di incasso, o di significativi ritardi di pagamento da parte dei clienti, se non addirittura di autentiche insolvenze, non adeguatamente considerate nella riclassificazione e rivisitazione del bilancio;
- l’indice non tiene conto delle cosiddette riserve di credito di cui l’azienda dispone presso i propri finanziatori esterni.
Si tratta sostanzialmente dei fidi bancari (e/o d’altro tipo) di cui l’impresa può avvalersi in relazione al grado di fiducia di cui gode, per cui un’impresa con un indice di liquidità “squilibrato” (cioè inferiore a 1) potrebbe avere una situazione finanziaria più favorevole di quella di un’altra impresa, con un quoziente pari o superiore a 1, ma percepita dai finanziatori come poco equilibrata nel suo profilo economico-finanziario complessivo.
Quest’ultima considerazione è di estrema importanza, perché ci ricorda che l’equilibrio della liquidità non può essere apprezzato disgiuntamente dall’equilibrio economico e da quello finanziario di struttura delle fonti, detto anche equilibrio patrimoniale.
Indice di liquidità secondaria
Un altro indice simile è il c.d. indice di liquidità secondaria, che al numeratore considera un’ulteriore fonte di incassi futuri, vale a dire le rimanenze di magazzino.
Dato che queste ultime comportano un incasso (attraverso la vendita di prodotti) più incerto di quello dei crediti già in bilancio, prudenzialmente si ritiene che l’indice di equilibrio debba essere significativamente > 1 (per convenzione spesso si dice ≈ 2).
Tale indice, impiegato insieme con quello di liquidità primaria, può essere utile per rendere più completa la valutazione di liquidità basata sull’analisi di bilancio.
I limiti delle analisi esterne
Un’ultima riflessione riguarda l’appropriatezza dei parametri standard con cui confrontare l’indice di liquidità effettivo e l’atteggiamento da tenere in tali confronti.
In questo caso si tratta del livello pari a 1, e nella prassi, di volta in volta si tenta di graduare il giudizio a seconda che sia inferiore o meno a valori come 0,5 o altri numeri.
Una corretta interpretazione dell’indice, però, suggerisce di non affidarsi a giudizi meccanicistici, ma di seguire un approccio che vada a fondo nell’analisi delle singole voci del quoziente e delle loro cause e in qualche modo tenti di proiettare la gestione nel futuro.
Ovviamente, tali ultimi accorgimenti sono fattibili nelle analisi interne, mentre diventano più problematici per gli analisti esterni che dispongono solo del bilancio d’esercizio.
Quali interventi possono migliorare l’indice di liquidità
Accettando il presupposto che l’indice di liquidità sia esauriente per consentire un corretto apprezzamento della situazione finanziaria di breve periodo, affinché una situazione poco favorevole possa essere riportata all’equilibrio, o comunque migliorata, occorre avere ben chiara la visione complessiva del profilo economico-finanziario globale della gestione d’impresa, che abbraccia:
- l’equilibrio economico o reddituale;
- l’equilibrio finanziario di liquidità;
- l’equilibrio patrimoniale di solidità patrimoniale.
Questa visione complessiva è indispensabile perché i tre equilibri sono strettamente e reciprocamente collegati tra di loro.
In termini molto semplici, si può dire che:
- le entrate e le uscite di mezzi liquidi derivano innanzitutto dai ricavi di vendita e dai costi per l’acquisto delle risorse; la differenza tra aspetto finanziario ed economico sta nel fatto che vi è spesso uno sfasamento temporale tra il manifestarsi dei ricavi e dei costi, da un lato, e corrispondenti incassi ed esborsi, dall’altro;
- il normale fabbisogno di mezzi liquidi richiesto dal flusso di uscite (per costi) non ancora coperto dal flusso di entrate (per ricavi) viene coperto da finanziamenti che possono provenire dagli stessi proprietari (capitale proprio) o da terzi (banche e altri finanziatori terzi);
- la solidità patrimoniale, cioè il grado di patrimonializzazione dell’impresa, influenza la fiducia che banche e altri finanziatori esterni nutrono nei suoi confronti, e quindi la possibilità di usufruire di adeguate riserve di credito che, come abbiamo visto, sono importanti ai fini della liquidità.
In definitiva, alla domanda: “come fare per migliorare la situazione di liquidità” (e il relativo indice), una risposta non superficiale (del tipo “vendere immobilizzazioni non necessarie” o simili) deve necessariamente partire da una visione complessiva della gestione, che passa attraverso provvedimenti di questo tipo:
- migliorare l’efficacia (leggasi le vendite e i relativi ricavi) e l’efficienza (leggasi l’acquisto e l’impiego delle risorse e i relativi costi) della gestione, a cominciare da quella operativa o caratteristica;
- migliorare la gestione del capitale circolante netto (dato dalle scorte di magazzino e dai crediti a breve termine, al netto dei debiti a breve termine).
Si tratta di interventi i cui risultati però difficilmente si manifestano nel breve periodo, perché, per fare un esempio di miglioramento apparentemente semplice, gestire efficientemente i crediti commerciali significa incassarli prima, ma ciò richiede scelte ed investimenti di credit management di non immediata attuazione ed impatto.
Ciò significa che il controllo della liquidità deve avvenire:
- in via continuativa, ad intervalli brevi;
- con una visione di sistema, insieme al controllo dell’equilibrio economico e di quello patrimoniale della gestione;
- con un approccio forward looking, cioè sforzandosi di guardare alle vicende della gestione futura.
Alcune domande sull’indice di liquidità
Qual è la differenza tra indice di liquidità primario e secondario?
L’indice di liquidità primario è un rapporto che mette a confronto le liquidità (liquidità immediate + liquidità differite) con le passività correnti. Si ritiene comunemente che il livello di equilibrio sia pari a 1.
L’indice di liquidità secondario considera, al numeratore del quoziente, anche le rimanenze di magazzino, oltre alle liquidità immediate e liquidità differite. Essendo le rimanenze a espressione di prodotti (finiti, in lavorazione o da lavorare) ancora da vendere, il livello di equilibrio viene collocato sopra l’unità (tipicamente 1,5 – 2).
Quali sono gli altri indici di liquidità?
Oltre all’indice di liquidità primario e secondario, limitandoci ai quozienti di bilancio, forniscono informazioni utili sulla liquidità anche gli indici di rotazione, che possono riguardare:
- rotazione del capitale investito ;
- rotazione delle rimanenze di magazzino* ;
- rotazione dei crediti commerciali.
Tali indici mettono in luce la velocità di rinnovo, cioè di ritorno in forma liquida del capitale investito.
Qual è la differenza tra indici di liquidità e indici di solidità?
Gli indici di liquidità in senso stretto sono quelli che misurano la liquidità e la solvibilità di breve periodo, confrontando entrate ed uscite ricavabili (indirettamente) dallo stato patrimoniale di bilancio.
Gli indici di solidità (sottinteso “patrimoniale”) confrontano il capitale proprio con il capitale di debito, portato da terzi. In quanto tali, esprimono il grado di indipendenza dell’azienda da finanziatori esterni e, in una certa misura danno un’idea della solvibilità dell’azienda nel lungo periodo.
Perché l’indice di liquidità è denominato anche acid test?
L’indice di liquidità, essendo un indice da molto tempo usato nelle analisi di bilancio, ha avuto il tempo di ricevere diverse denominazioni, specie nella prassi aziendale (non sempre a beneficio della chiarezza).
Tra le denominazioni usate, vi è anche quella di “acid test”, che pare derivi da test chimici compiuti in ambito minerario per verificare il contenuto aureo del materiale raccolto.
Tutto interessante, ma … in pratica come si fa?
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Luigi Brusa
Autore di numerosi testi sui sistemi di controllo e professore emerito presso Università degli Studi di Torino.