COSTI VARIABILI: DEFINIZIONE, TIPOLOGIE ED ESEMPI

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Sono definiti costi variabili quei fattori produttivi il cui valore complessivo aumenta in misura proporzionale al variare delle quantità prodotte o vendute (volume di attività).

L’esempio tipico è quello delle materie prime utilizzate per la produzione, come il latte e lo zucchero per una gelateria, il pomodoro e la mozzarella per una pizzeria oppure il legno per una fabbrica di mobili.

Grafico che rappresenta i costi variabili

Nel caso delle imprese commerciali, come un negozio di ferramenta, sono considerati costi variabili, gli articoli destinati alla rivendita. Si tratta infatti di costi proporzionali ai volumi di vendita e sono contabilizzati come acquisto di merce.


A cosa serve la classificazione tra costi fissi e variabili

Per affrontare in modo completo l’argomento dei costi fissi e variabili è fondamentale comprendere l’utilità di classificare i costi aziendali secondo questa logica.

Nel suo insieme, si tratta di una tematica troppo ampia per essere trattata in un unico articolo, pertanto, se sei interessato ad approfondire, ti invito a leggere i post dedicati al margine di contribuzione, al calcolo del break even point, e agli effetti dalla leva operativa.

Costi complessivi e costi unitari

In sede di analisi, i costi variabili sono rappresentati sugli assi cartesiani con una semiretta che parte dall’origine degli assi. In pratica il valore è pari a zero in assenza di quantità prodotte e aumenta in misura proporzionale ai volumi di vendita (come mostrato nell’immagine in alto).

È bene precisare che il concetto di variabilità è perciò riferito al valore complessivo, come mostra la seguente tabella riferita alla produzione di una gelateria e ai relativi costi variabili (latte, zucchero, frutta, aromi, ecc..):

Tabella con un esempio di costo unitario variabile e costo complessivo variabile

In pratica, quando si parla di costi variabili vanno considerati i costi complessivi, poiché i costi variabili unitari tendono a rimanere costanti.

Differenza tra costi variabili e costi fissi

Grafico che rappresenta costi fissi e costi variabili

I costi variabili sono quei fattori produttivi che tendono ad assumere un valore complessivo proporzionale ai volumi.

I costi fissi invece, sono quelli il cui ammontare è determinabile già all’inizio dell’anno (affitto, assicurazioni, parcella del commercialista, eccetera), a prescindere dai volumi generati nel corso dell’anno.

Le due tipologie di costi hanno dunque dinamiche differenti, come appare ben visibile nella rappresentazione sugli assi cartesiani che mostra il diverso valore di partenza (con volume di attività pari a zero), e il progressivo andamento divergente.

Costi variabili lineari

Grafico che rappresenta i costi variabili lineari

Nell’esempio della produzione di gelato, i costi variabili unitari rimangono costanti (3 €) e il loro sviluppo grafico disegna una linea retta e perciò sono definiti lineari.

Nelle imprese manifatturiere i costi variabili lineari possono anche essere un insieme di articoli che compongono un prodotto e sono elencati all’interno della distinta base.

In altri casi, però, i costi variabili possono avere un andamento decrescente o crescente e in base a ciò sono definiti degressivi o progressivi.

Costi variabili degressivi

Grafico che rappresenta i costi variabili depressivi

I costi variabili degressivi sono quelli che disegnano una curva la cui inclinazione tende a diminuire all’aumentare delle quantità prodotte (o vendute).

Una situazione che determina la degressività è data, ad esempio, dall’aumento della forza contrattuale che consente di spuntare prezzi di acquisto più favorevoli.

Per capire meglio facciamo l’esempio di una birreria che decide di concentrarsi su un unico fornitore per ottenere prezzi migliori.

Tabella con un esempio di costo variabile depressivo

In poche parole, i costi variabili degressivi sono quei costi che aumentano in misura meno che proporzionale al variare dei volumi.

Costi variabili progressivi

Grafico che rappresenta i costi variabili progressivi

I costi variabili progressivi sono quelli che disegnano una curva la cui inclinazione tende a salire all’aumentare delle quantità prodotte.

Uno dei fattori che determina la progressività potrebbe essere ad esempio il lavoro straordinario pagato al personale dipendente.

Facciamo l’esempio di un’azienda che produce sciarpe, ognuna delle quali richiede un’ora di lavoro. Il costo unitario di questo fattore produttivo rimane costante per le 40 ore settimanali ordinarie, ma aumenta quando si fa ricorso alle ore di lavoro straordinario, per le quali è prevista una maggiore retribuzione, che varia all’incirca dal 25 al 50%.

In pratica, i costi variabili progressivi sono quei costi che aumentano in misura più che proporzionale al variare dei volumi.

Costo variabile medio

In presenza di costi variabili degressivi o progressivi, può sorgere il bisogno di determinare il costo variabile medio calcolato sulla totalità delle quantità prodotte.

Riprendiamo l’esempio della produzione di sciarpe:

  • ipotizziamo che ogni operatore produca 50 sciarpe alla settimana impiegando 50 ore;
  • il costo orario è pari a 15 € per le 40 ore ordinarie e 20 € per le ore di straordinario.
Esempio di costo medio variabile di un'azienda che produce sciarpe

Il costo variabile complessivo per la produzione di 50 sciarpe sarà di: 15 € x 40 ore + 20 € x 10 ore = 800 €.

Per calcolare il costo variabile medio la formula è la seguente: costo variabile complessivo / quantità prodotte = 800 € / 50 sciarpe = 16 €.

Costi misti

Il comportamento di alcune tipologie di costo può assumere forme diverse rispetto a quelle viste fino a questo punto. Ciò è dovuto a una composizione mista del costo, che comprende una parte fissa e una variabile.

Costi semivariabili

Grafico che rappresenta i costi misti semivariabili

Il caso più classico è quello delle utenze (riscaldamento, energia elettrica, ecc.) che prevedono una parte di canone fisso e un’altra proporzionata ai consumi.

Graficamente si rappresenta come una semiretta che parte dal punto che corrisponde al valore del canone fisso, e tende ad aumentare per effetto dei consumi proporzionati alle quantità prodotte.

Costi a gradini

Grafico che rappresenta i costi misti a gradini

Un esempio di costi misti a gradini è rappresentato dai costi di manutenzione che in parte possono essere obbligati (anche in assenza di reale utilizzo) e in parte sono generati dall’usura del bene (e dalle quantità prodotte).

In questi casi, il grafico rappresentato disegna una linea con un andamento simile a quello di una scala da cui deriva la definizione di costi misti a gradini.

Considerazioni finali

L’importanza di analizzare il comportamento di talune tipologie di costo al variare dei volumi è collegata alla necessità di raccogliere informazioni utili alle attività di pianificazione e controllo.

In questa prospettiva, la suddivisione tra costi fissi e costi variabili permette di effettuare rapidamente delle analisi come quella relativa al break even point. Se vuoi esercitarti puoi scaricare il foglio excel per il calcolo del punto di pareggio, partendo proprio dalla suddivisione tra costi fissi e variabili.

Nella mia attività di consulente, utilizzo la classificazione a costi fissi e variabili soprattutto nelle realtà aziendali che hanno un controllo di gestione poco strutturato e non usano strumenti come budget e business plan.

L’analisi a costi fissi e variabili ha dunque il pregio di essere comprensibile anche agli imprenditori inesperti e permette velocemente di calcolare il margine di contribuzione e la leva operativa, che sono indicatori di fondamentale importanza, soprattutto per le attività ad alta intensità di lavoro come le imprese manifatturiere o del settore horeca.

Bibliografia

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Giuseppe Brusadelli

Da piccolo appassionato di numeri e matematica, da grande specializzato in finanza e controllo di gestione.

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