CATENA DEL VALORE: TU IN CHE POSIZIONE SEI?
Tempo di lettura: 6 minuti
La catena del valore fu teorizzata più di trent’anni fa dall’economista Michael Porter, nel suo libro “Il vantaggio competitivo“.
Quella di Porter non è una lettura semplice, ma il saggio è una pietra angolare delle strategie di gestione aziendale.
Infatti, nel suo volume, Porter ha scritto alcune intuizioni davvero illuminanti.
Vale la pena ragionarci sopra e approfondirle, in particolare se sei un imprenditore alla guida di una PMI.
Che cos’è la catena del valore?
La catena del valore definisce e rappresenta tutte le attività del ciclo produttivo che intervengono nei passaggi che trasformano la materia prima in prodotto finito.
Il prodotto, in ognuno di questi passaggi, acquisisce valore, fino ad arrivare all’ultimo passaggio: il prezzo di vendita.
Con quali criteri si determina tale valore? Attraverso la somma dei seguenti fattori:
- costo di acquisizione della materia prima (o del semilavorato);
- costi diretti e indiretti legati alla creazione del prodotto;
- margine (mark-up).
Per l’esattezza, Porter fa una distinzione tra attività primarie e attività di supporto. L’economista americano si concentra quindi sull’incremento di valore piuttosto che sui costi che le attività determinano. Nello specifico, Porter rappresenta il concetto con questa immagine:
Personalmente, trovo la rappresentazione poco intuitiva. Forse anche perché le strutture aziendali sono molto cambiate negli ultimi trent’anni.
Strategia industriale: tra passato, presente e …
La strategia industriale ha vissuto in passato un periodo di fusioni e acquisizioni che ha portato alla formazione di grandi agglomerati industriali. Questi ultimi diventavano spesso difficili da gestire: spesso si perdeva il controllo in termini di efficacia ed efficienza e creazione di valore.
L’integrazione verticale, cioè la fusione con altre aziende fornitrici o con aziende clienti, era una strategia praticata da molti attori. Attori dotati di forza finanziaria e potere contrattuale. La crescita dimensionale attraverso le acquisizioni serviva soprattutto a soddisfare le manie di grandezza dei gruppi industriali.
È brutto da dire, ma questo succedeva. Era cioè una corsa governata più dall’ambizione che da un accurato calcolo sulla remunerazione del capitale investito. Specialmente all’interno di questi agglomerati, lo schema della catena del valore ha per decenni guidato le aziende all’analisi di quali fossero le attività strategiche più capaci di generare valore.
Le aziende hanno anche cercato di comprendere quali attività fossero più povere o addirittura in perdita, e che quindi conveniva esternalizzare. Si potrebbe quasi affermare che il primissimo schema della catena del valore sia un antenato degli attuali sistemi di controllo di gestione.
La situazione ai giorni nostri è diversa. La tendenza delle aziende moderne è affidare a imprese terze specializzate (subfornitori) vari processi produttivi. La strategia è dunque focalizzare le proprie energie e risorse solo sulle attività più redditizie.
In gran parte dei settori, non esiste più l’agglomerato produttivo, poiché si è andato affermando il modello delle filiere produttive. È il sistema che gli anglofoni chiamano supply chain (catene di fornitura), e viene così rappresentata:
Che utilità ha tutto ciò per le PMI italiane?
Lo riconosco: l’ho presa un po’ larga. Però, ritengo che arricchire le proprie conoscenze sia importante per chi vuol essere imprenditore oggi. D’altronde, è proprio la conoscenza della storia a insegnarci come evitare di ripetere gli errori passati. Seguimi allora nel ragionamento.
È vero che l’integrazione verticale e l’internalizzazione delle attività possono determinare una crescita nel breve periodo. Tuttavia, innumerevoli casi di studio ci insegnano che è la focalizzazione sulle attività “core” a consentire alle imprese di crescere e prosperare nel lungo periodo.
Oggi, la catena del valore (value chain) non si snoda più dentro una sola grande azienda, ma più facilmente si sviluppa proprio lungo una filiera (supply chain) composta da differenti realtà focalizzate.
A questo punto, ci potremmo porre un paio di domande. Per esempio: ogni azienda della filiera applica lo stesso ricarico? Chi può permettersi mark-up più elevati rispetto ad altri? Con le risposte ci si potrebbe scrivere una tesi di laurea.
Cominciamo a dire che, in genere, chi produce o commercializza un prodotto indifferenziato (commodity) si deve accontentare delle briciole lasciate dagli altri attori della filiera. Che cosa significa prodotto indifferenziato?
Significa un prodotto che non ha argomentazioni di fronte alla seguente obiezione da parte del compratore: “La concorrenza mi fa un prezzo più basso…”. Viceversa, quanto maggiori sono gli elementi distintivi rispetto ai prodotti concorrenti (puntualità delle consegne, qualità, affidabilità ecc.), tanto maggiore sarà il ricarico applicabile.
Naturalmente, occorre comprendere quali sono le caratteristiche che il mercato apprezza e per cui è disposto a pagare un sovrapprezzo (premium price). È inutile ad esempio accanirsi nella ricerca di una qualità superiore rispetto ai concorrenti, se il mercato privilegia altro.
Per intenderci: se sono un imprenditore nell’abbigliamento, posso anche decidere di produrre capi confezionati artigianalmente con tessuti pregiati. Sono liberissimo di farlo.
Però, se non ho clienti disposti a pagare un prezzo maggiore per questo, rischio di trovarmi in competizione con concorrenti che producono in Cina. Quindi ho poche speranze di sopravvivere a lungo.
L’esempio è estremo, lo so. Però, la realtà dice che ci sono tantissimi imprenditori che, per compensare la scarsa marginalità, cercano di far quadrare i conti ammazzandosi di lavoro. È un errore grave. Chi accetta una realtà fatta di bassi margini si espone sempre a un pericolo. Quello che il più piccolo scossone faccia affondare la barca.
3 consigli pratici per accrescere il tuo margine
Come ottenere dunque un maggior valore da scambiare con un premium price? Ecco qui tre spunti per i “capitani d’impresa” costantemente impegnati in questa sfida:
1) Fare una verifica sull’efficacia e sulla coerenza del proprio modello di business e del proprio posizionamento strategico
Si tratta di fare poche ore di analisi, che sono però d’importanza vitale. Trascurare l’importanza di questo momento con la scusa di avere altre urgenze non significa essere molto impegnati, ma disorganizzati.
È inoltre utilissimo condividere questa analisi con altre persone, come i soci, i coniugi, i fratelli o altre persone fidate. Prezioso è soprattutto il contributo di chi può osservare l’azienda da una prospettiva esterna, e dunque meno influenzata dalle dinamiche quotidiane e di breve periodo.
Chiaramente, è meglio se queste persone sanno di business, come per esempio un professionista o un altro imprenditore.
2) Verificare annualmente i bilanci degli ultimi 3-5 anni dei concorrenti all’interno della filiera
Ciò è utile per capire chi sta adottando le strategie e i processi più efficaci. Il raffronto serve anche per distinguere i risultati ottenuti da chi sta investendo (ammortamenti e leasing) rispetto a chi non sta rinnovando i suoi asset.
La stessa cosa va fatta per i clienti e i fornitori più rappresentativi. Per fare ciò è necessario riclassificare i bilanci per calcolare e confrontare gli indicatori di redditività, primo fra tutti l’ebitda.
Capire la dimensione del loro mark up medio consente di soppesare le situazioni e impostare le negoziazioni future sui prezzi. Il costo per ogni bilancio scaricato dalla CCIAA è di 2,50 euro: è il miglior investimento che potete fare.
Già che abbiamo il “naso dentro i numeri” altrui, possiamo calcolare i tempi medi di pagamento e di incasso, per confrontarli con quelli applicati alla nostra azienda (le imprese ben organizzate applicano da sempre questo metodo…).
3) Prestare la massima attenzione a ciò che è importante oggi (non ieri) per il nostro cliente
La velocità con cui le cose cambiano è decisamente aumentata negli ultimi anni. È necessario indagare costantemente su quali siano i suoi bisogni e le sue esigenze (anche latenti).
Muoversi in anticipo garantisce un vantaggio che i concorrenti faranno fatica a colmare. Lo so: uscire dal gregge (del prodotto indifferenziato) non è così semplice. Bisogna inventarsi qualcosa o, per usare un termine più adatto, innovare. Ma è uno sforzo che paga sempre.
Si tratta insomma di tre semplici esercizi, che non richiedono chissà quale talento o quale conoscenza della catena del valore. Ti basta solo la volontà di impegnarti a cambiare, e col tempo vedrai che ti verrà naturale. L’alternativa? È quella di accomodarti sul confortevole guanciale delle tue abitudini e osservare passivamente l’evolversi della situazione.
Tutto interessante, ma … in pratica come si fa?
Per fare bene un lavoro ci vuole il giusto metodo ma anche gli strumenti adeguati. Con i numeri aziendali è molto facile ingarbugliarsi con fogli excel complicati e calcoli inconcludenti.
Se vuoi risparmiare tempo e stress inutili devi assolutamente provare FareNumeri.cloud un programma intuitivo progettato dal nostro team, per implementare il controllo di gestione in modo semplice.
Giuseppe Brusadelli
Da piccolo appassionato di numeri e matematica, da grande specializzato in finanza e controllo di gestione.